di francesco de rosa |
Era il 21 aprile quando il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese è stata audita in videoconferenza dalla Commissione Affari Costituzionali della Camera dei Deputati, sulle iniziative di competenza del suo dicastero adottate per fronteggiare l’emergenza epidemiologica da Covid-19.
Nel corso del suo intervento il Ministro pose l’accento sui pericoli cui si sarebbe andato incontro nelle fasi successive della pandemia e su come le ricadute economiche e sociali potevano aprire “margini di inserimento della criminalità organizzata nella necessaria fase di riavvio delle attività economiche”. In merito alle strategie di intervento il ministro Lamorgese evidenziò come le forze dell’ordine stessero già mettendo in campo un’approfondita attività investigativa e informativa, con una particolare attenzione rivolta ai cosiddetti “reati-spia” indice di una possibile presenza mafiosa, quali usura, estorsione, riciclaggio, corruzione nelle Pubbliche amministrazioni, illecite interferenze e condizionamenti degli appalti pubblici. Il ministro inoltre affrontò altri argomenti nel corso dell’audizione, tra cui la sanatoria degli immigrati irregolari occupati nel settore agricolo. Da quell’intervento ad oggi, sei mesi dopo, ciò che si prevedeva si sta puntualmente realizzando probabilmente anche in forma più acuta.
Il 2 luglio è toccato allo stesso ministro Lamorgese portare all’attenzione dei deputati e della stampa i risultati della Relazione che si apriva subito con un approfondimento relativo alle ripercussioni della pandemia sulle attività criminali. «Le organizzazioni di stampo mafioso – osserva la DIA – vedono nella fase di ripresa post-lockdown un’opportunità per espandere la loro economia criminale, sfruttando le difficoltà delle attività economiche e produttive e puntando ad accrescere la propria capacità di influenzare il tessuto sociale, soprattutto “nelle periferie depresse delle grandi aree metropolitane”, laddove già esistono “sacche di povertà e di disagio sociale”».
La DIA ha ipotizzato un primo scenario di breve periodo, in cui “le organizzazioni mafiose tenderanno a consolidare sul territorio il proprio consenso sociale, attraverso forme di assistenzialismo da capitalizzare nelle future competizioni elettorali. Un supporto che passerà anche attraverso l’elargizione di prestiti di denaro a titolari di attività commerciali di piccole-medie dimensioni, ossia a quel reticolo sociale e commerciale su cui si regge l’economia di molti centri urbani, con la prospettiva di fagocitare le imprese più deboli, facendole diventare strumento per riciclare e reimpiegare capitali illeciti.
Un secondo scenario, questa volta di medio-lungo periodo, in cui le mafie – specie la ‘ndrangheta – vorranno ancor più stressare il loro ruolo di player, affidabili ed efficaci anche su scala globale. L’economia internazionale avrà bisogno di liquidità ed in questo le cosche andranno a confrontarsi con i mercati, bisognosi di consistenti iniezioni finanziarie. Non è improbabile perciò che aziende anche di medie – grandi dimensioni possano essere indotte a sfruttare la generale situazione di difficoltà, per estromettere altri antagonisti al momento meno competitivi, facendo leva proprio sui capitali mafiosi”.
La Relazione della Dia ha scandagliato gli scenari di ogni singola mafia attiva sul territorio nazionale ed internazionale. Alla voce “camorra” il profilo dell’invasione finanziaria del malaffare dettaglia i contorni. E, in questo caso, il quadro offerto dalla criminalità organizzata campana si conferma in continua trasformazione. «Ci si trova di fronte non tanto, come potrebbe apparire, ad una caotica e più o meno violenta miriade di gruppi in continua contrapposizione, quanto piuttosto a una sovrapposizione controllata e organizzata di livelli criminali: in quello superiore, trovano posto le storiche famiglie con una radicata incidenza nel tessuto sociale, pubblico ed economico; in quello inferiore si collocano gruppi meno strutturati a livello organizzativo e strategico, deputati al controllo delle attività illegali su piccole porzioni di territorio».
«Storiche organizzazioni camorristiche hanno creato, nel tempo, veri e propri apparati imprenditoriali, capaci di influenzare ampi settori dell’economia, locale e nazionale (giochi, ristorazione, comparto turistico-alberghiero, edilizia, rifiuti), evidenziando una resilienza capace di assorbire i continui colpi dello Stato e di mantenere comunque stabile la propria capacità operativa. Pertanto, la rilevanza mediatica derivante da numerosi e gravi episodi criminosi (agguati, sparatorie, intimidazioni), verificatisi soprattutto nella città di Napoli, non deve indurre a pensare ad una camorra come a una matrice delinquenziale di basso cabotaggio, ad un semplice scontro tra bande rivali prive di caratura criminale. I piccoli aggregati di minore entità – spesso costituiti per la maggior parte da giovani che agiscono con modalità mafiose – alla luce delle recenti valutazioni giudiziarie si possono ritenere come realtà criminali subalterne alle grosse organizzazioni, che conferiscono loro legittimazione e dalle quali dipendono operativamente, svolgendo un mero ruolo esecutivo».
«Rispetto al semestre precedente, il numero stabile, nella città di Napoli, degli omicidi e quello in flessione dei tentati omicidi potrebbe essere un ulteriore elemento indicativo della politica adottata dai clan più strutturati, che allo scontro tendono a preferire la condivisione di interessi, se ciò risulta strumentale al raggiungimento degli obiettivi e dei profitti».
«Il condizionamento del tessuto economico non riguarda più esclusivamente la Campania, poiché la necessità di investire capitali ha comportato la migrazione di imprenditori camorristi nelle regioni del centro e nord Italia dove, operando senza i vincoli imposti dalle regole di mercato, alterano la legittima concorrenza, contribuendo a indebolire le imprese legali. Il rapporto che lega gli imprenditori al clan è un rapporto stabile, che assicura ai primi protezione nei confronti di altre organizzazioni criminali e soprattutto la possibilità di aggiudicarsi appalti sfruttando le relazioni dei secondi, non solo in Campania ma anche fuori regione. Ed è un dato ormai acquisito che i clan campani, oltre all’infiltrazione nel tessuto imprenditoriale, abbiano assunto la tendenza, anche fuori dal proprio contesto territoriale, di stringere accordi tra loro e con altre organizzazioni criminali italiane e straniere per la gestione di singole attività illecite, quali il traffico di stupefacenti, il riciclaggio o per il controllo di reti imprenditoriali operanti su tutta la Penisola».
«Un ulteriore elemento di riflessione va rivolto alle richieste pervenute dai capi di alcuni clan che, dal carcere, hanno espresso la volontà di dissociarsi, poi concretizzatasi in forme – peraltro, già sperimentate – di ammissione limitate a condotte criminali già contestate, con l’indicazione delle responsabilità a carico soltanto di collaboratori di giustizia o di concorrenti nel reato deceduti. L’aspetto più interessante riguarda le reali motivazioni che spingono taluni soggetti, spesso di rango apicale, a determinarsi in questo senso, apparendo per lo più come scelte di opportunità finalizzate ad ottenere attenuanti in sede di condanna o misure premiali per i detenuti condannati in via definitiva. Per la camorra, la via della dissociazione trova le sue radici negli anni ’90, con l’intento di mimetizzare e rigenerare l’organizzazione. Si era poi manifestata in Sicilia, all’inizio degli anni Duemila, quando l’adozione di un’analoga linea di condotta fu esplorata anche da parte di Cosa nostra. Una vera e propria strategia che potrebbe avere come obiettivo quello di ottenere l’applicazione delle recenti sentenze della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo e della Corte Costituzionale, che hanno sancito la parziale incostituzionalità del cosiddetto ergastolo ostativo».
“Avviso Pubblico”, l’Associazione che riunisce molti enti locali impegnati in ogni parte d’Italia a contrastare tutte le mafie ha pubblicato sul proprio portale un report completo e riassuntivo anche per le altre mafie sparse in altre zone d’Italia che trovate qui. Il 6 ottobre scorso “Presa Diretta” ha andato in onda un’inchiesta (che qui vi riproponiamo) sugli affari che le mafie stanno facendo in questi mesi d’emergenza per coronavirus. Che questo tema potesse diventare più che reale lo si è iniziato a dire già dopo le prime settimane di lockdown di marzo. La seconda ondata del contagio da covid-19, che già si fa sentire da qualche settimana, produce nuovi decreti governativi di blocchi parziali che ricadranno inevitabilmente, nel corso di questo autunno/inverno 2020, sulle economie legali già in difficoltà dopo il lockdown di primavera. E, c’è da giurarci, che nuove, serie insidie possano minare il tessuto della società italiana e delle sue imprese basate su economie legali per il vantaggio delle diverse economie illegali pronti a sfruttare ogni emergenza possibile.