Si sono trovati “riuniti” destra e sinistra ma ora fanno distinguo. L’abolizione del reato d’abuso d’ufficio risulterà uno “sconto” per chi commette alcuni tipi di reati in politica, nelle istituzioni e persino in magistratura. Il 10 luglio 2024, la Camera dei deputati ha approvato definitivamente il disegno di legge Nordio, abolendo il reato di “abuso d’ufficio” con una maggioranza compatta: il provvedimento è stato approvato con 199 sì, 102 contrari e nessun astenuto. Il testo si compone di 9 articoli e di un allegato relativo al ruolo organico della magistratura ordinaria. L’art. 1 del disegno di legge Nordio (C 1718) che abroga il reato di “abuso d’ufficio” previsto e punito dall’art. 323 del Codice penale a tenore del quale: «Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità.» Sembrava un atto di civiltà e invece ora si fanno i conti con le falle che l’abrogazione sta determinando. Eccone alcune…
L’abrogazione del reato di abuso d’ufficio ha fatto e fa discutere il mondo politico ma soprattutto l’opinione pubblica, quei cittadini che non potranno più difendersi dalla tracontanza, l’arroganza e l’uso personale del ruolo di un funzionario pubblico. Il dibattito resta aperto e vivo non solo perché la corruzione in Italia è molto diffusa e molta di questa si compie “grazie” alla volontà dei pubblici funzionari nell’esercizio delle loro funzioni. Anzi. In quei casi sono essi stessi che la mettono in moto. Ministri, sindaci, funzionari di vari uffici pubblici, persino magistrati hanno avuto negli anni in cui, dal finire del decennio Novanta essa fu approvata, diverse condanne per abuso d’ufficio. Molte di queste condanne oggi potranno essere cancellate dacché l’abrogazione è retroattiva. Dentro il capitolo “vantaggi” per l’abrogazione del reato d’abuso d’ufficio non c’è solo l’ex ministro Claudio Scaiola, indagato nell’inchiesta sulla presunta compravendita di una bocciofila a Imperia, tra i (futuri) possibili beneficiari di una delle otto modifiche al codice penale partorite dalla (assai) dibattuta “Riforma Nordio” che ha cancellato il reato di abuso d’ufficio. Si va dall’ex sindaco dem di Bibbiano fino a qualche giorno fa imputato a dibattimento nel processo Angeli&Demoni non per reati su minori, ma per una sorta di ipotetica copertura politica ad alcuni illeciti commessi, che pure è stato “assolto” perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato. La lista di percettori degli effetti giudiziari è lunga e si abbatte come una mannaia preventiva (a un giusto processo, sia chiaro) anche su inchieste in corso. Entrando solo per un quarto dei casi nel ventaglio degli amministratori pubblici pionieri della necessità di un’abrogazione in nome della cosiddetta “paura della firma”. Giuseppe Santalucia, presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati non nasconde preoccupazione e non nega neppure la necessità che alcune modifiche andavano fatte ma non certo l’abrogazione. Ammette… «che esistessero delle storture sul piano del rapporto tra il potere dei giudici e la pubblica amministrazione, ma – aggiunge – si doveva intervenire sulla fattispecie dividendo gli ambiti di applicazione». «Da un lato bisognava ampliarla perché nel tempo era stata svuotata ed era ormai asfittica (e da qui le recenti, numerose assoluzioni), pensando anche a tutelare la discrezionalità politica, ma dall’altro non si doveva procedere a quella che nei fatti è una cancellazione che lascia indifesi tutti i privati cittadini di fronte al potere male esercitato anche con riguardo alla magistratura da parte di un’ampia platea di pubblici ufficiali». Ora di fatto «siamo di fronte ad un’amnistia selettiva».
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Numeri alla mano i fatti gli danno ragione e sono quei fatti che Giuseppe Legato mette in evidenza sulel pagien de “la Stampa”. «Ci sono state 3.623 condanne per abuso di ufficio tra il 1997 e il 2022 suscettibili tutte – quantunque a richiesta – di revisione con conseguente cancellazione di precedenti penali e pendenze. E il vantaggio non è solo per i soliti nomi noti. «Si sta creando uno scudo non solo retroattivo» ripete Santalucia. Un vantaggio che ha riguardato e riguarderà persino i magistrati (13 le condanne nei loro confronti che potrebbero essere riviste, diverse altre sono in fase istruttoria). C’è agli atti della cronaca l’assoluzione di pochi giorni fa di un vigile urbano di Volpiano (Torino) imputato di abuso d’ufficio perché – dal 30 luglio 2015 al 15 luglio 2017 – avrebbe fatto in modo che sei multe comminate dai suoi scrupolosi colleghi al boss della ‘ndrangheta Giuseppe Vazzana (assicurazione scaduta, sosta vietata, sosta senza pagamento della tariffa oraria, auto con revisione scaduta, transito in regime di rosso fisso) non venissero mai pagate «omettendo di avviare l’accertamento o di avviare la procedura di riscossione)». C’è – ancora – l’agente del carcere minorile di Torino che ha picchiato un giovane detenuto, ma siccome le lesioni erano inferiori a 40 giorni, termine previsto per la procedibilità d’ufficio (e la vittima non ha mai sporto querela) è rimasto solo l’abuso (d’ufficio). Cancellato lo scorso 16 settembre dal giudice «perché il fatto non è più previsto come reato». E ci sono ancora 25 tra manager e amministrativi della struttura sanitaria di Torino che nei giorni scorsi si sono visti dimezzare le contestazioni (all’atto della chiusura indagini) rispetto a una maxi-inchiesta sulla presunta gestione opaca dei fondi legati all’intramoenia. Per alcuni di loro è rimasta “soltanto” l’ipotesi di falso in bilancio.»
Ci sarà un effetto domino non da poco che si considera che molti dei procedimenti legati alle inchieste sulle presunte “baronie universitarie” stanno cadendo uno per uno a seguito di un combinato disposto. Diverse procure, tra cui Torino, avevano indagato più docenti per concorsi a cattedra ipotizzando una “turbata libertà degli incanti”. «Bandi pilotati, per capirci» – sottolinea opportunamente Giuseppe Legato. «Non foss’altro che il 16 giugno 2023, la Cassazione penale, sezione Sesta, ha stabilito che il reato in questione «non si applica alle procedure di assunzione e di mobilità del personale nelle pubbliche amministrazioni». Ma solo agli appalti. Ai magistrati inquirenti non è rimasto che riformulare il capo di imputazione in abuso d’ufficio sul quale è intervenuta adesso la tagliola della riforma Nordio.» Più procure, ultima in ordine di tempo, Reggio Emilia, stanno chiedendo ai giudici di “sollevare” questione di legittimità costituzionale rimandando alla Consulta un giudizio sull’abrogazione dell’abuso d’ufficio, finora con non pochi dinieghi: «La strada maestra – dice Santalucia – resta quella del ripensamento legislativo nei termini che ho detto prima già a partire da domani. Il che non sposterebbe nulla sulle condanne potenzialmente revocabili del passato, ma quantomeno creerebbe e rafforzerebbe tutele ai cittadini per il futuro».
Cos’era l’abuso d’ufficio previsto e punito dall’art. 323 c.p.?
La condotta delittuosa descritta dall’art. 323 c.p. constava di un’azione, relativa alla funzione o al servizio svolto, perpetrata in violazione di legge, oltre che nell’inosservanza di obblighi di astensione tipizzati dalla stessa fattispecie delittuosa o da altre fonti normative. La formulazione ampia della norma incriminatrice consentiva di ritenere oggetto del reato non solo i tipici provvedimenti amministrativi, bensì qualunque tipologia di atto (o attività) posta in essere dal funzionario. Il reato di abuso d’ufficio, quindi, si configurava nel caso in cui un pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, nell’esercizio delle sue funzioni, produceva un danno o un vantaggio patrimoniale in contrasto con le norme di legge. Trattasi, pertanto, di un reato proprio, in quanto soggetti attivi del reato sono solo il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio nello svolgimento delle loro funzioni o del loro servizio. In ossequio al principio di determinatezza, il legislatore delineava i confini dell’abusività della condotta descritta nella fattispecie, consistente in 1) violazione di norme di legge o di regolamento, ove sono ricomprese anche le mere norme procedimentali, qualora atte a procurare un ingiusto vantaggio patrimoniale o un danno ingiusto; e 2) violazione dell’obbligo di astensione, qualora vi sa un obbligo giuridico di astensione in presenza di una situazione di conflitto di interessi. L’abuso d’ufficio era un reato pluri-offensivo, giacché il bene giuridico tutelato dalla norma era costituito dal buon andamento e dall’imparzialità della pubblica amministrazione, in uno alla trasparenza dell’azione amministrativa, ma anche dal patrimonio del terzo danneggiato dall’abuso del funzionario pubblico.
Era un reato di evento, il cui disvalore penale si verificava al momento della effettiva realizzazione di un ingiusto vantaggio patrimoniale o di un danno ingiusto ad altri. Per la configurazione del delitto, infatti, la norma richiedeva l’avverarsi di due eventi alternativi: un ingiusto vantaggio patrimoniale, che il pubblico agente procurava a sé o ad altri, oppure un danno ingiusto arrecato a qualcuno. Era inoltre necessario che l’autore agisse con dolo intenzionale e, quindi, con la coscienza e la volontà della condotta e degli eventi previsti dalla fattispecie incriminatrice, con la conseguenza che il delitto non si sarebbe mai potuto configurarsi nei casi di dolo eventuale. Per quanto concerne il vantaggio patrimoniale, trattasi di qualsivoglia vantaggio suscettibile di valutazione economica; il danno ingiusto, invece, contemplava sia il danno patrimoniale sia quello non patrimoniale. Infatti, mentre l’ingiusto vantaggio può essere soltanto patrimoniale, il danno per il terzo può consistere in qualunque ingiusta aggressione della sfera personale o patrimoniale del soggetto passivo. È quindi richiesta la c.d. “doppia ingiustizia” del danno, nel senso che tanto la condotta in violazione di legge quanto il vantaggio patrimoniale conseguito debbono essere ingiusti. L’abolizione del reato dall’agosto scorso ha fatto piazza pulita di questa tutela importante del cittadino che non chiede, non riceve vantaggi e osserva la legalità e la parità dei diritti con tutti i suoi simili.
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