A Federico Monga, che lo ha intervistato per la “la Stampa” sui suoi temi più cari, il procuratore nazionale Antimafia Giovanni Melillo non ha nascosto nulla di tutta la sua preoccupazione umana e professionale. Le mafia stanno permeando il nord Italia. Fanno affari con la politica e i legami sono “diffusi, disincantati e pragmatici”. Partecipano a gare d’appalto e le vincono pure. Sono nelle squadre di calcio investendo soldi e persone per riciclare soldi e guadagnarne altri. L’analisi è spietata, lucida, senza giri di parole…
Chi conosce bene Giovanni Melillo, soprattutto quello passato lungo gli anni dell sua frontiera napoletana dice che è un magistrato di poche parole, senso dell’ironia, lucidità e tanta passione per il lavoro che scelse di fare. Nato a Foggia nel 1959 entrò nei ruoli della magistratura nel 1985. Dal maggio del 2022 è a capo della Procura nazionale Antimafia dopo aver “vinto” la sfida con Nicola Gratteri con il quale, in realtà, è in profonda sintonia dacché uniti, i due magistrati, dallo stesso impegno. Dal 1991 al 1999, guada caso, Giovanni Melillo ha lavorato presso la Procura di Napoli, dove oggi c’è Gratteri, occupandosi delle attività criminali ad impatto ambientale (ecomafia) e dal 2001, in qualità di pubblico ministero, alla Direzione nazionale antimafia. Già Procuratore aggiunto a Napoli dal 2009, capo di gabinetto di Orlando nell’esecutivo Renzi del 2014 fino a procuratore capo di Napoli dal 2017. Ai vertici della Procura nazionale Antimafia nel maggio 2022 è subentrato a Federico Cafiero De Raho nominato a larga maggioranza dal Consiglio superiore della Magistratura. Autore di numerosi volumi e saggi in materia di diritto penale e diritto processuale penale, Giovanni Melillo non ha celato nulla nell’incontro con Federico Monga. «Non si deve più parlare di infiltrazioni mafiose, ma di una presenza strutturale delle organizzazioni criminali nel Centro-Nord Italia in tutti i settori, dall’edilizia, alla logistica, al calcio professionistico passando per la grande distribuzione e la finanza». Per Melillo “mafia, camorra e ’ndrangheta fanno parte del tessuto economico anche e soprattutto nella parte più sviluppata del paese”. Si sono radicati lì perché lì circola più denaro.
Non a caso Federico Mango non si fa sfuggire il caso Emilia Romagna. “In Emilia Romagna, chiede al Procuratore nazionale antimafia, dall’ultima relazione semestrale della Dia, si è registrato il record di interdittive – più di cento seconda solo a Calabria e Sicilia – per rischio di infiltrazioni mafiose. È in questa regione la nuova emergenza della ’ndrangheta economica? E Melillo, senza alcun indugio «Mi parrebbe piuttosto difficile parlare di emergenza, tanto meno nuova. Si tratta piuttosto e da tempo di componenti strutturali del tessuto economico e sociale di quella regione, come di gran parte del territorio nazionale. Inutile nascondersi dietro un dito e far finta di non vedere l’impronta di presenze e interessi mafiosi che marca pezzi significativi del sistema delle imprese che operano nell’edilizia pubblica e privata, come nella logistica e nella distribuzione commerciale».
La conversazione tocca molte regioni d’Italia. “Piemonte, Liguria, Lombardia, Emilia, quanto sono potenti le mafie al Nord?” domanda a Giovanni Melillo, Federico Mango. «Sono circa trent’anni che le indagini e i processi dimostrano la presenza al Nord di autentiche, stabili e fra loro coordinate ramificazioni strutturali della ’ndrangheta. Numerose sentenze, definitive, comprovano la gravità del fenomeno particolarmente in Lombardia, Piemonte ed Emilia. Ma la situazione non è diversa in Liguria, in Veneto e in Toscana, dove l’azione giudiziaria ha più a lungo scontato la difficoltà di riconoscere i tratti tipicamente mafiosi di strutture dedite, assai più che ad azioni violente, a penetrare nei circuiti economici mediante gli strumenti della corruzione, anche nel settore privato, della frode fiscale e del riciclaggio». I soldi, gli affari, la convenienza arriva dal traffico di droga soprattutto ma non solo. «Naturalmente uno dei motori degli affari di ’ndrangheta resta il traffico di stupefacenti e soprattutto della cocaina importata dall’America Latina, che genera gran parte degli enormi profitti illeciti che si riversano negli affari apparentemente leciti o negli affari illeciti che godono di vasta condivisione sociale, perché si realizzano con la partecipazione di imprese e professionisti che mafiosi non sono, ma che parlano lo stesso linguaggio dei mafiosi, essendo gli uni e gli altri alle prese con le stesse false fatturazioni, le stesse frodi carosello, le stesse indebite compensazioni fiscali, gli stessi fallimenti pilotati e i medesimi canali di riciclaggio dei relativi proventi».
I rapporti delle mafie del nord con la politica
La domanda più insidiosa arriva con l’ipotesi del connubio mafie/politica. Come sono al nord i rapporti della politica con le mafie? «Diffusi, disincantati e pragmatici, direi. Le organizzazioni mafiose sono indifferenti al colore degli interlocutori politici che soprattutto a livello locale, in cambio di finanziamenti e sostegno elettorale, si offrono di dare rappresentanza e tutela agli interessi delle reti d’impresa che agiscono per conto di quelle organizzazioni». Non pago di curiosità per comprendere ciò che resta un nodo cruciale, Federico Mango articola d’ulteriore interesse il quesito. “La tentazione – replica Mango – di pezzi della politica di fronte al coinvolgimento di alcuni suoi esponenti in contestazioni di reati di concorso in condotte mafiose è quella di isolare i casi definiti episodici. Ma la sensazione è che manchi una profonda, strutturale riflessione interna ai partiti (inteso trasversalmente) sui rischi di contiguità e collusioni. È la politica che assolve se stessa?
«Naturalmente – risponde deciso Giovanni Melillo – la responsabilità penale è personale ed ogni generalizzazione, oltre che sbagliata e fuorviante, rischia di alimentare la pericolosa tendenza a screditare le istituzioni politiche, minando le radici della partecipazione democratica alla vita pubblica. Ma altrettanto certamente vi sono tutte le ragioni per considerare urgente una seria e condivisa riflessione delle organizzazioni attraverso le quali si organizza la vita democratica del nostro Paese».
Le mafie che comandano dal Nord e non più dal Sud Italia
Nella migrazione da Sud a Nord Italia i gruppi mafiosi hanno reinventato la presenza su un territorio del tutto diverso. Molto più tranquillo rispetto al Sud Italia e tale da consentire vere e proprie cabine di regia. Non a caso sul tema Federico Mango ci va diretto. “Ormai – replica Melillo – le mafie hanno trasferito l’arte dei loro centri decisionali al Nord dal Sud? «Se parliamo di ’ndrangheta, le articolazioni centro-settentrionali sono dotate di larga autonomia, soprattutto nella ricerca di nuovi affari e di nuove partnership, ma conservano pur sempre legami profondi con le case madri radicate in Calabria, cui spetta l’ultima parola sulle questioni strategiche. Un modello di governance tanto flessibile quanto solido ed efficiente. Ma, ripeto, la logica degli affari permea ogni decisione e questo spiega anche la progressiva integrazione di strutture mafiose eterogenee e delle reti d’impresa che ne costituiscono diretta espressione. Se si tratta di importare e poi distribuire, ad esempio, gasolio e benzina, governando al tempo stesso la relativa gigantesca rete di evasione dell’Iva e delle accise, ’ndrangheta, mafia e camorra sanno lavorare gomito a gomito, abbandonando le rigide distinzioni originarie». Le mafie si sono infiltrate nel Pnrr dice Melillo. «Se abbandonassimo la logica banalizzante del rischio di “infiltrazione” delle mafie nell’economia sarebbe più facile riconoscere una realtà che vede le imprese di mafia agire stabilmente insieme alle imprese che mafiose non sono, condividendo affari e servizi illegali. Potremmo così più chiaramente valutare la gravità del rischio, terribile per la stessa credibilità internazionale dell’Italia, che si diffonda nell’opinione pubblica europea la percezione che risorse provenienti in buona parte da tasse pagate da cittadini e imprese di altri Paesi finiscano nelle tasche delle nostre mafie e nei mille rivoli della corruzione». Mafie che hanno permeato altri settori non da meno. Tanto che, dice Melillo, «non vi è settore che possa ritenersi al riparo del rischio di condizionamento mafioso. Persino le società di calcio, anche nel Nord Italia ed anche a livello professionistico, costituiscono ambite vie di ingresso e legittimazione sociale ed affaristica di figure e interessi mafiosi. Anche in questo campo è più facile far finta di non vedere».
Il contrasto che si può fare a queste mafie
L’ultimo passo di una conversazione che ha tanti spunti di grande interesse, Federico Mango lo compie sui temi del contrasto. Per esempio, “i controlli, chiede Mango, non quelli ex post affidati alle forze di polizia e alla magistratura, ma quelli ex ante, funzionano? E ancora “Nelle strategie di contrasto alle mafie che la Dna con le Dda porta avanti da anni esiste un salto di qualità investigativo che si augura o che si è posto? C’è un livello di connivenze da colpire più di quanto fatto finora per ottenere risultati – se possibile – ancora più incisivi? Le risposte di Giovanni Melillo non si fanno attendere. «È del tutto evidente che la messa in campo di enormi risorse finanziarie pubbliche e l’urgenza della attuazione dei progetti del Pnrr come di quelli finanziati con risorse nazionali, a partire dal Ponte sullo Stretto e dalle Olimpiadi di Milano-Cortina, portano con sé anche l’illusione che si possa fare a meno di razionalizzare e intensificare controlli che, malgrado l’impegno delle prefetture e delle forze di polizia, hanno bisogno di ben maggiori dotazioni tecnologiche e di strumenti che oggi sono largamente inadeguati o che semplicemente restano sulla carta, come nel caso del monitoraggio dei flussi finanziari delle imprese o dei doveri di segnalazione di ogni anomalia». E ancora. «Oggi le procure distrettuali lavorano insieme, condividendo progetti, modelli e metodi di organizzazione del lavoro e non soltanto specifiche informazioni e singole esperienze. Ma è difficile immaginare un’azione diffusamente e stabilmente efficace all’interno di un sistema giudiziario lento e farraginoso e di un quadro di permanente lacerazione polemica sui temi della giustizia. Così come è difficile immaginare un’efficace azione di contrasto della criminalità organizzata senza un parallelo rafforzamento dell’azione di contrasto della corruzione e della criminalità economica. Su entrambi quei versanti anche la magistratura dovrebbe seriamente interrogarsi, superando approcci difensivi e modelli organizzativi corporativi che contribuiscono grandemente a minarne la credibilità. Ma certo il pauperismo dell’amministrazione giudiziaria e l’instabilità del sistema normativo contribuiscono a rafforzare il pericolo di una sorta di ripiegamento burocratico del lavoro giudiziario. Per fortuna, la magistratura ha già dato prova in passato della propria capacità di rialzare lo sguardo e di recuperare la fiducia dei cittadini. L’ingresso nei suoi ranghi di molti, motivati e valorosi giovani è di per sé motivo di speranza».
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