Nella notte tra domenica 24 e lunedì 25 settembre 2023 è morto all’età di 61 anni il boss di Cosa nostra Matteo Messina Denaro. Il decesso è avvenuto nel reparto detenuti dell’ospedale San Salvatore dell’Aquila, in Abruzzo. Messina Denaro, arrestato nel gennaio 2023 dopo trent’anni di latitanza, soffriva di un tumore al colon diagnosticatogli nel 2020 e ormai al quarto stadio. Da venerdì 22 settembre era in coma irreversibile.
Considerato l’ultimo capomafia stragista, tra i mandanti degli attentati contro i giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, come riporta l’agenzia Ansa, nei suoi nove mesi è stato sottoposto a due interventi chirurgici legati alle complicazioni del cancro. A seguito del secondo intervento i medici hanno deciso di non rimandarlo in carcere e il detenuto, che ha rifiutato l’accanimento terapeutico, è stato sottoposto alla terapia del dolore e sedato. Figlio del vecchio capomafia di Castelvetrano Ciccio, storico alleato dei corleonesi di Totò Riina, Matteo Messina Denaro era latitante dall’estate del 1993. Aveva annunciato la latitanza in una lettera scritta alla fidanzata dell’epoca, Angela, dopo le stragi mafiose di Roma, Milano e Firenze: “Sentirai parlare di me, mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità“. In fuga dalla giustizia dal 1993, il mafioso di Trapani è stato condannato all’ergastolo per decine di omicidi, tra cui quello di Giuseppe Di Matteo, strangolato e sciolto nell’acido a 15 anni, come ritorsione nei confronti del padre Santino Di Matteo, ex mafioso diventato collaboratore di giustizia dopo il suo arresto nel 1993. Insieme a Totò Riina, latitante per 23 anni, e Bernardo Provenzano, scappato alle forze dell’ordine per 38 anni, è stato tra i mandanti delle stragi avvenute tra il 1992 e il 1993, durante la guerra di mafia tra l’organizzazione criminale siciliana Cosa nostra e lo stato italiano. In quegli anni, la violenza mafiosa – supportata da alcuni funzionari dello stato condannati poi nel processo sulla trattativa tra Stato e mafia del 2018 – fu responsabile della morte dei giudici Falcone e Borsellino, dell’attentato a Roma contro Maurizio Costanzo e delle stragi di via dei Georgofili a Firenze, dove furono uccise 5 persone e ferite altre 37, e di via Palestro a Milano, con un bilancio di 5 vittime e 15 feriti.
L’arresto
Matteo Messina Denaro era stato arrestato lo scorso 16 gennaio dai carabinieri del Ros, coordinati dal procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido. L’operazione ha permesso di catturare il capomafia di Castelvetrano (Trapani) all’interno della clinica privata La Maddalena di Palermo. Secondo quanto riferiva il comandante del Ros dei carabinieri Pasquale Angelosanto all’Ansa, Matteo Messina Denaro si era recato nella clinica privata dove è stato arrestato “per sottoporsi a terapie“.
I misteri
Con la sua morte, Messina Denaro porta con sé una serie di misteri che, una volta catturato, il boss stragista aveva fatto sapere di non voler rivelare. “Io non mi pentirò mai”, aveva detto al pubblico ministero dopo il suo arresto.
All’inizio del 1992 Messina Denaro era stato spedito a Roma da Totò Riina per uccidere Giovanni Falcone. Dopo alcuni giorni di pedinamenti andati a vuoto, il giovane Messina Denaro e i suoi sodali ricevettero dal capo dei capi l’ordine di rientrare in Sicilia. In quel momento la mafia iniziava a pensare agli attentati da realizzare in terra siciliana per uccidere Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Matteo Messina Denaro sapeva per quale motivo Cosa nostra decise questo cambio di strategia. Con la sua morte, svanisce ogni possibilità di sapere la verità. Così come per Capaci e via D’Amelio, Messina Denaro era al corrente delle motivazioni che, tra il 1993 e il 1994, hanno spinto Cosa nostra a mettere le bombe in tutta Italia. Dall’attentato fallito al giornalista Maurizio Costanzo alle esplosioni di Firenze, in via dei Georgofili (cinque morti); Milano, in via Palestro (cinque vittime); Roma (22 feriti per le autobombe a San Giovanni in Laterano, mentre le bombe allo Stadio Olimpico non sono mai esplose per un malfunzionamento anche se, come spiega Avvenire, forse in quell’occasione arrivò l’ordine di sospendere l’operazione).
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Stando alle parole del pentito Nino Giuffrè, Messina Denaro era anche il custode di almeno una parte dell’archivio personale di Totò Riina, arrestato nel 1993 e morto nel 2017. “Credo che parte dei documenti presi a casa di Totò Riina siano finiti a Messina Denaro“, ha detto Giuffrè nel 2013. Carte e documenti prelevati dopo l’arresto del Capo dei capi e che non sono ancora stati trovati.
Inoltre, c’è il sospetto che Messina Denaro sia entrato in possesso dell’agenda personale di Paolo Borsellino, sparita a seguito dell’attentato di via D’Amelio. Come spiega il Corriere della sera, la famosa agenda rosse del giudice non è mai stata ritrovata e, ammesso che qualcuno l’abbia effettivamente sottratta dalla scena del crimine, quel qualcuno non sarebbe un uomo di mafia. Se fosse vero, si dovrebbe stabilire attraverso quali canali l’ultimo boss stragista sia riuscito a entrare in possesso dell’agenda rossa di Borsellino. Messina Denaro era anche testimone dell’ulteriore cambio di strategia di Cosa nostra, quando sotto la guida del boss Bernardo Provenzano le bombe sono cessate e la mafia ha stretto accordi con alcuni uomini politici.