Ne abbiamo già lette tante sul pentimento annunciato di Francesco Schiavone “Sandokan”, capo del potente clan camorristico dei casalesi. C’è chi dice si tratti di un pentimento “strategico” e programmato viste le condizioni di salute. Altri che quel pentimento potrebbe far luce su molti fatti. Altri ancora che sarà messo alla prova dalle circostanze dei fatti e soprattutto dal riscontro che ne verrà. Tra le molte riflessioni messe in rete all’annuncio della notizia abbiamo scelto la breve ma documentata riflessione che Gian Marco Boellisi ha “affidato” alle pagine web di InsideOver che qui vi riportiamo per intero.
di Gian Marco Boellisi
Come un fulmine a ciel sereno, la storia delle mafie italiane si arricchisce di un nuovo, inaspettato capitolo. È infatti notizia recente che il leader del clan dei Casalesi, Francesco Schiavone detto “Sandokan”, abbia deciso di collaborare con la giustizia, a valle di 26 anni di carcere scontati sotto regime di 41 bis. Considerato uno degli ultimi irriducibili boss sempre contrario all’idea del cosiddetto “pentimento”, Sandokan ha dichiarato che aiuterà le autorità giudiziarie con informazioni rimaste in suo possesso per tutti questi anni. Per quanto in un primo momento la notizia possa sembrare di buon auspicio nell’ottica di porre luce su numerosi angoli oscuri della storia recente italiana, il cambio di rotta di Schiavone potrebbe essere meno limpido di quanto i media nostrani mostrino, specie per un criminale di siffatta carriera.
Nato nel 1954 da una famiglia di imprenditori agricoli, Francesco Schiavone inizia sin da giovanissimo ad orbitare attorno ai clan di Casal di Principe. Nei primi anni ’80 insieme al cugino Carmine entra dentro la Nuova Famiglia, sotto i boss Antonio Bardellino e Mario Iovine. Qui avviene la vera svolta, con Sandokan che arriva a diventare uno dei membri di spicco del clan e ad accentrare su di sè sempre maggior potere. L’occasione d’oro gli viene posta a seguito di una faida tra lo stesso Iovine e Bardellino, i quali si scontreranno poichè il fratello di Iovine è sospettato essere un informatore dei Carabinieri. La vicenda si concluderà con la presunta morte di Bardellino in Brasile nel 1988 (il corpo non verrà mai trovato) e l’incoronazione ai vertici del clan di Mario Iovine e Francesco Schiavone.
La diarchia tuttavia avrà vita breve. Infatti Iovine verrà ucciso in Portogallo nel 1991 a seguito di un’ulteriore faida interna al clan, rendendo Sandokan de facto il leader incontrastato dei Casalesi. Una volta consolidato il suo dominio sull’organizzazione, Schiavone tuttavia deve iniziare a difendersi contro un altro nemico ben più determinato: lo Stato Italiano. Siamo infatti negli anni ’90, dove la lotta alla mafia viene vista come una priorità nazionale. Sicuramente per la Sicilia, ma anche per altre regioni, Campania inclusa. Nel 1993 Carmine Schiavone, cugino di Francesco, decide di diventare un collaboratore di giustizia, portando ad ingenti sequestri da parte della magistratura di aziende, beni immobili, conti bancari, bar, ristoranti ed imbarcazioni. Le attività illegali del clan (estorsioni, traffico di droga, traffico di rifiuti) e quelle “pilotate” (gli appalti pubblici) avevano portato nel corso dei decenni ai Casalesi ingenti somme. Somme che ancora oggi si ritengono non essere state scalfite nella loro grande parte dalla magistratura italiana. Ed è proprio qui che la decisione di Schiavone potrebbe diventare cruciale.
Da quanto è stato arrestato l’11 luglio del 1998, Francesco Schiavone ha sempre affermato apertamente di non voler collaborare con la giustizia. Che sia stato per durezza del proprio carattere, per fedeltà al proprio clan o per coprire i propri familiari, affiliati e soci, non è dato saperlo. Il fatto che abbia deciso di farlo dopo 26 anni di carcere duro al 41 bis sicuramente desta delle domande, alle quali tuttavia oggi è molto difficile dare certezza. Un primo indizio potrebbe essere lo stato di salute del boss. Infatti Schiavone sarebbe affetto da cancro e sarebbe stato spostato recentemente dal carcere di Parma dove si trovava in precedenza per essere curato.
Ad oggi è previsto che Schiavone venga sentito per due volte a settimana per 6 mesi, in maniera da rivelare il maggior numero di informazioni possibili in merito alle sue attività criminali. La lista delle cose da dire è sicuramente molto lunga: la gestione degli appalti pubblici, i dettagli del traffico di rifiuti, l’ubicazione delle ricchezze del clan, nonché i vari contatti intrattenuti con la politica. Questi ultimi in particolare sarebbero molto interessanti per la Magistratura, visti i rapporti comprovati con il Sottosegretario all’Economia Nicola Cosentino, condannato nell’aprile 2023 in via definitiva a 10 anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa. Non è quindi da escludere che vi siano ancora altri collaboratori del clan che non abbiano subito la stessa sorte del Sottosegretario ma che potrebbero essere in pericolo a valle delle dichiarazioni di Schiavone.
Che quello di Sandokan sia un vero pentimento o meno, lo scopriremo nei prossimi mesi. Chiamato così perchè molto simile all’attore Kabir Bedi, forse le rivelazioni di Schiavone si riveleranno esse stesse una grande messa in scena, un grande nulla con un pizzico di zucchero, strumentale a garantire un miglioramento delle proprie condizioni carcerarie, o quelle dei propri familiari, o ancora a proteggere membri della propria famiglia e del clan ancora al di fuori del carcere. Se le sue rivelazioni cambieranno davvero qualcosa nella nostra conoscenza della galassia criminale attorno a Casal di Principe, ai posteri l’ardua sentenza.
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